"T'appartene": quando l'abbonamento vale più del suo prezzo
La SSC Napoli ha lanciato la campagna abbonamenti 2025-2026. Cosa sente un tifoso quando acquista l'abbonamento della propria squadra? Qual è il reale valore?

La nuova campagna abbonamenti del Napoli e il legame tra prezzo, valore percepito ed emozione: perché il vero affare, per molti tifosi, non è quanto spendono, ma cosa sentono. Ogni volta che il Napoli pubblica i prezzi della nuova campagna abbonamenti, parte puntuale il confronto: “Paghiamo di più o di meno rispetto ai tifosi delle altre squadre?”. È una domanda legittima, ma spesso mal posta. Il punto non è quanto costa un abbonamento, ma quanto vale.
Chi oggi si affretta a giudicare la nuova campagna “T’appartene” solo in base ai numeri — prezzi comunque in linea con gli altri top club italiani, riduzioni per i vecchi abbonati, differenziazioni per settori e fasce d’età — dimentica la dinamica più autentica che regola ogni scambio economico: quella tra prezzo e valore percepito. Il prezzo, si sa, lo stabilisce il mercato: un equilibrio tra domanda e offerta. Se tanti vogliono qualcosa che è scarso, il prezzo sale. Se abbonda l’offerta ma scarseggiano gli acquirenti, il prezzo scende. Ma il vero motore delle nostre decisioni non è il prezzo in sé: è quanto noi stessi valutiamo quel bene o servizio.
In questo caso: quanto vale per me un anno al Maradona? Quanto conta, nella mia scala affettiva ed emotiva, l’idea di sentirmi parte della curva, dei cori, della maglia, della città?
La teoria economica ci aiuta a capire cosa succede nel momento cruciale in cui un tifoso valuta se acquistare o meno. Ogni decisione di acquisto, infatti, nasce dal confronto tra valore percepito e prezzo di mercato. E lì, proprio in quel confronto, “scatta la scintilla”:
Se il valore percepito è superiore al prezzo di mercato, ci sembrerà un affare. E compreremo con entusiasmo.
Se valore e prezzo coincidono, ci sembrerà comunque un acquisto equo. E compreremo.
Se invece il valore percepito è inferiore al prezzo richiesto, percepiremo ingiustizia. E rinunceremo.
Il valore percepito è soggettivo, emotivo, identitario. Cambia da persona a persona, da città a città. Per questo il marketing — e quello sportivo in particolare — lavora per aumentarlo: più aumenta la percezione di valore, più sarà accettabile un prezzo alto. L’iPhone insegna: file chilometriche nonostante il costo elevato, perché chi lo compra ne ha una percezione superiore rispetto al valore tecnico oggettivo.
Ecco perché, se migliaia di tifosi si precipitano a rinnovare l’abbonamento, anche a prezzi non bassissimi (ma, ripetiamo, comunque in linea con il mercato), non è perché “conviene”, ma perché per loro vale. Perché quell’abbonamento non è solo un posto allo stadio: è appartenenza, identità, emozione. È la sensazione di essere parte di qualcosa che ti rappresenta.
La campagna “T’appartene” lo dice chiaramente fin dal titolo: non ti sta vendendo un servizio, ti sta vendendo un’appartenenza. E l’appartenenza non si misura in euro, si misura in pelle d’oca.





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